Ci sono parole che nella musica rischiano di diventare cliché: “ascolto”, “suono da disco”… Ma quando a parlarne sono musicisti come Marco Fanton e i T-Side, quelle parole si riempiono di significato.
A fare da sfondo a questa riflessione collettiva, due momenti diversi ma complementari: una diretta congiunta trasmessa sui canali BassCommunity e FantHome, e una conversazione dal vivo sul palco del Mata Páta di Anzio. Due occasioni in cui si è parlato di suono dal vivo, strumenti, approccio alla performance, ma soprattutto di un tema spesso trascurato: l’importanza dell’ascolto.
Il soundcheck come cultura, non come obbligo
“Il nostro soundcheck è finito un quarto d’ora fa”, dice Marco con tono pacato durante la Masterclass tenuta nel pomeriggio. Non è una battuta. È l’esito di un metodo, di una gestione attenta e collaudata degli equilibri sul palco, resa possibile da un mixer digitale ben programmato, ma soprattutto da una visione musicale che mette l’orecchio prima dell’ego.
La band lavora su una struttura silent stage, con monitoring personale, assenza di amplificatori tradizionali e una forte attenzione al suono globale. Niente più muri di volume o lotte di frequenze: l’obiettivo è sentire bene, sentirsi tutti.
E qui emerge il primo punto chiave: l’ascolto non è un dettaglio tecnico, è un’attitudine. Marco lo dice chiaramente: “I musicisti dovrebbero fare qualche passo indietro e ascoltare il resto”. Perché senza una cultura dell’ascolto, anche l’attrezzatura migliore non salva il risultato.
Il paradosso del “non segreto”
“Il segreto è che non ci sono segreti”, ripete più volte Marco. Ma poi aggiunge: “Il vero problema è che certe cose restano nella testa dei musicisti come se fossero segrete. Non lo sono: vanno solo scoperte, capite, allenate”.
È un concetto che spiazza, perché sovverte la retorica del trucco magico, del preset risolutivo, della formula definitiva. Nessun pedale fa miracoli, nessun modeler può compensare una mancanza di attenzione o relazione sul palco. Il vero lavoro sta nell’esperienza, nella consapevolezza e nella pratica quotidiana.
Suonare i Toto oggi: tra rispetto e identità
Quando si parla di Lukather, la domanda sorge spontanea: è possibile suonare come lui oggi, senza scadere nell’imitazione?
Marco Fanton risponde con onestà: “Quelli sono i suoni con cui sono cresciuto. Ce li ho dentro, fanno parte della mia formazione. Non devo sforzarmi per ritrovarli”.
Non è copia, è continuità. È un recupero rispettoso di un’estetica sonora che ha segnato un’epoca e che merita di essere portata avanti. Certo, i tempi sono cambiati. “Quei suoni oggi non vanno più di moda”, dice Marco. Ma ogni chitarrista si illumina quando li sente.
Il passaggio da tri-amping, reverberi da studio e rig monumentali a una semplice pedaliera moderna è stato reso possibile dalla tecnologia, ma il principio rimane: la qualità si misura ancora nella cura, non nella quantità.
Mike Porcaro: l’essenzialità e la classe
Al basso, Nick Muneratti entra in scena per raccontare l’eredità di Mike Porcaro e di tutti i bassisti che hanno fatto grandi i Toto.
Un basso “semplice” solo all’apparenza quello iconico di Mike Porcaro (che secondo Nick rappresenta più di tutti il basso dei Toto). Groove solido, shuffle nascosti, timing perfetto. “Le sue linee sono molto meno semplici di quanto sembrino”, spiega Nick. È la complessità dell’essenzialità, la ricchezza del non detto.
L’approccio timbrico è altrettanto lucido. Nick sottolinea come in un contesto simile boostare le basse sulla testata serva a poco: meglio lavorare sulle medie, far emergere le frequenze portanti del suono di basso, curare il dettaglio.
Il palco silent aiuta in questo: consente di ascoltare meglio la band, di dosare con precisione l’interazione con batteria, chitarra, tastiere. Il click non è una prigione, ma una guida. E il basso diventa colla, non decorazione.
Ritorno al suonato
C’è anche spazio per una riflessione più ampia: che ne sarà della musica suonata, nell’epoca dell’IA generativa, dei contenuti sintetici, dei live che sembrano videoclip?
Secondo me, e i T-Side sono d’accordo, ci sarà una voglia di ritorno al suonato. Un auspicio che non nasce dalla nostalgia, ma da un’intuizione culturale: la musica dal vivo, imperfetta e umana, sarà sempre necessaria e sempre più desiderata.
I recenti segnali dice Marco — come l’affermazione di Lucio Corsi a Sanremo o il ritorno di piccole band con suono vero — sembrano suggerire che qualcosa si stia già muovendo.
Per concludere
Quello che Fanton, Nick e i T-Side ci ricordano è semplice: suonare non è un gesto tecnico, è un atto relazionale. Non basta avere il suono “giusto”. Serve una cultura del palco, del contesto, del gruppo.
Il suono vero — quello che tocca, che coinvolge, che resta — nasce lì: nell’attenzione maniacale all’ascolto. E in quel tipo di ascolto, non ci sono scorciatoie. Solo presenza. E presenza, oggi, è già una rivoluzione. I T-Side sono: Matteo Bianco – voce, Davide Bettella – batteria, Marco Fanton – chitarra e voce, Aligi Pasqualetto – tastiere, Nick Muneratti – basso. Nella speranza di rivederli presto dal vivo, vi lascio alla visione dei video… Alla prossima Community!