Sab. Nov 15th, 2025

Il fascino dell’analogico nell’era dell’intelligenza artificiale

DiFabio Testa

15 Ottobre 2025
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Mentre l’intelligenza artificiale cambia il modo in cui produciamo, ascoltiamo e persino immaginiamo la musica, l’analogico resta in auge. Non come tendenza vintage, ma come esigenza di autenticità. Nel momento in cui tutto può essere simulato, cresce il bisogno di riscoprire il contatto con l’aria, con gli strumenti reali, con la fisicità del suono. Lo si percepisce nel linguaggio dei produttori, che tornano a parlare di calore, presenza, armoniche, e in quello dei musicisti, che riscoprono il piacere di microfonare un ampli, di usare un pre analogico, di sentire la risposta dell’ambiente. È un movimento silenzioso ma diffuso, che attraversa studi, home studio e canali YouTube di chi fa musica per passione o professione.

Richiamarsi all’analogico, oggi, non è solo una scelta tecnica ma culturale. Significa riconoscere che il digitale — per quanto preciso e potente — cerca ancora di raccontarsi come vivo. È per questo che le pedaliere di ultima generazione, come Fractal, Helix o Neural DSP, e i plugin di marchi come Universal Audio o Waves, emulano apparecchiature storiche: preamplificatori, compressori, saturazioni a nastro, valvole. Tutta la tecnologia più avanzata, in fondo, tende a imitare ciò che l’analogico aveva già saputo creare. È un paradosso affascinante: più il digitale si perfeziona, più rincorre le sue stesse imperfezioni originarie.

Nel mondo dell’audio, l’analogico è diventato un simbolo: un ponte tra memoria e innovazione. Lo si ritrova anche nei prodotti consumer, dalle cuffie con design retrò ai plugin che simulano la compressione valvolare. È come se, in mezzo all’omologazione algoritmica, ci fosse ancora bisogno di un’impronta umana, di una sfumatura non replicabile. È un tema che affronto anche nel mio video “Microfonare un ampli nel 2025”, dove torno su un gesto “antico”: quello di mettere un microfono davanti a un cono, per catturare non solo il suono ma il respiro della stanza. Un gesto che oggi può sembrare superfluo, ma che restituisce al musicista una consapevolezza diversa: quella di costruire un suono con le mani, non con un preset.

Nel secondo video esploro invece una combinazione contemporanea che racchiude questo equilibrio: la Scarlett 18i16 di quarta generazione e i microfoni Shure Nexadyne. Un setup che unisce rigore tecnico e profondità analogica, semplicità e presenza. La Scarlett, con la modalità Air ispirata alle console ISA, riesce a restituire una dimensione tattile al suono, mentre i Nexadyne offrono una ripresa trasparente e dinamica. Il risultato è un suono tridimensionale, pieno, che non ha bisogno di essere corretto.

Forse è proprio questo il punto: nell’era dell’intelligenza artificiale, tornare a toccare il suono diventa un gesto rivoluzionario. Un modo per non lasciare che sia l’algoritmo a decidere cosa è bello, cosa è corretto, cosa funziona. Microfonare, spostare un microfono, ascoltare la stanza: sono gesti lenti, che riportano al centro il musicista e non la macchina. L’analogico, oggi, non è nostalgia. È un modo diverso di restare vivi dentro la tecnologia.

DiFabio Testa

Suono, insegno e creo contenuti... sempre dal Basso. Ho fondato BassCommunity™, un progetto editoriale che nel tempo è diventato una casa digitale fatta di didattica, interviste e divulgazione, punto di riferimento per chi ama il basso in Italia (e non solo). Con Il Mondo dal Basso™ porto avanti progetti che intrecciano creatività, cultura, musica e comunicazione, convinto che quattro corde bastino per aprire mondi interi.