Nel cuore della Napoli più ispirata, tra il calore delle contaminazioni world, il funk sudato e la poesia cruda di Pino Daniele, prende forma Bella ‘Mbriana (1982): un disco denso, maturo, già post-successo internazionale, in cui Pino si muove con la libertà di chi ha già lasciato il segno. In studio arrivano giganti come Wayne Shorter e Alphonso Johnson, che nel brano “Ma che mania” firma una delle sue interpretazioni più affascinanti.
Il brano è una piccola lezione di interplay: groove, dinamica e direzione musicale si fondono in un tappeto ritmico che respira e cambia forma. Il riff portante, in mi minore, ruota attorno alla quarta corda a vuoto, arricchito da ghost note, ottave glissate e un tocco bluesy nei fill. L’apparente semplicità della linea nasconde una sensibilità profonda: ciò che conta non è la precisione meccanica, ma l’intenzione. Ogni colpo deve avere direzione, senso, rilassatezza.
Il basso entra dopo una breve intro percussiva, e fin da subito impone un “andazzo” che non va interpretato in modo troppo quadrato. Il groove funziona perché si muove, ondeggia, accompagna il brano. Serve capire come e dove il basso appoggia, come rilancia i colpi di batteria, e soprattutto dove lascia spazio.
Dopo la prima sezione, il brano cambia pelle: entra una parte latin, più sincopata… Lì l’accompagnamento si fa meno prevedibile, meno simmetrico. Non va copiato, va capito. Tonica, quinta e ottava, ma con spinta anticipata e un senso di rilancio costante. L’approccio giusto è quello dell’ascolto attivo: percepire le tensioni armoniche e restituirle con libertà, non rigidità.
Il passaggio successivo è un piccolo gioiello: un fill inciso quasi d’istinto, che anticipa l’ingresso nel solo di tastiera. Non è banale da suonare, soprattutto per come incastra sulla batteria, ma proprio per questo è efficace. Un’occasione per studiare il modo in cui l’intenzione ritmica può essere libera e credibile allo stesso tempo.
A seguire, la sezione slap: una progressione statica su un mono accordo (Mim9) che lascia campo libero a variazioni, anticipi, sincopi, colpi di coda. Qui il basso si fa percussione, ma senza perdersi in piroette. Una cellula semplice ben eseguita vale più di mille note. Il consiglio è lavorare lentamente sulle prime due misure, farle proprie, e poi aprirsi a variazioni. La regola è sempre quella: interiorizzare prima di imitare.
“Ma che mania” è uno di quei brani che insegnano a suonare davvero. Non tanto per la tecnica, quanto per l’atteggiamento: dialogare con la batteria, seguire il canto, dare struttura senza rigidità. È un pezzo che si suona col corpo prima che con le dita. E quando entra in repertorio, lo fa per restare. Vi lascio al video e come sempre… Buona pratica!