Cosa accomuna la sigla di Mila e Shiro con “Centro di gravità permanente” di Battiato, “Com’è profondo il mare” di Dalla e “Il rock di Capitan Uncino” di Bennato? Il bassista ovviamente! Paolo Donnarumma è stato in quel periodo uno dei bassisti pop-rock più importanti d’Italia e analizzando la linea di basso di questa sigla oggi proveremo a capire perché!

Intrufoliamoci tra le maglie della rete di uno dei più popolari spokon manga e scopriamo il mondo di Yū Hazuki.

Una piccola nota

Diciamolo subito, Yū (Mila, nell’italica versione dell’anime) non è la cugina di Kozue Ayuhara (Mimì, nella stivalica versione)! Non so cosa sia saltato in mente agli autori ma andrebbero fustigati in pubblica piazza per averci fatto passare come vera e plausibile questa parentela, manipolando i dialoghi dell’anime. Nella versione giapponese, si sappia, tutto ciò non esiste.

Il manga in Giappone…

Fatta la doverosa premessa, possiamo introdurre il manga che narra le vicende della giovane Yū. Si parla di spokon shōjo manga, ovvero, manga a tema sportivo indirizzato ad un pubblico di giovani ragazze. Qui, diversamente dall’Uomo Tigre, si parla di squadre che giocano a pallavolo e non di delinquenti che cercano di ammazzarsi su un ring a furia di colpi proibiti!

Il manga è stato scritto da Jun Makimura e Shizuo Koizumi e illustrato dalla stessa Makimura. Edito da Kōdansha, la prima edizione, dal titolo “Attacker You!”, è serializzata tra il novembre del 1984 e l’agosto del 1985 e consta di soli 23 capitoli raccolti in 3 tankōbon.

Makimura, che non ha mai rivelato il suo anno di nascita (ipotizzo abbia tra i 65 e 70 anni), debutta come mangaka nel 1974 e disegna manga di genere storico, sportivo e fantastico, spesso preferendo appoggiarsi a sceneggiatori per la scrittura della storia. Il suo tratto è ben definito e pulito, piuttosto espressivo sebbene rimanga semplice e delicato. Un tratto che, a detta di molti, appare un po’ snaturato nelle sue opere più recenti. Makimura si è sempre concentrata sul genere shōjo mentre Koizumi, giornalista sportivo, ha scritto quasi esclusivamente sul tema pallavolo. Ha curato anche la stesura dell’anime “Don Chuck Story”.

…un po’ di storia…

Come immaginabile dai più attenti, anche se non viene quasi mai ricordato, il successo della squadra Nazionale giapponese femminile di pallavolo alle Olimpiadi del 1964 fu la fonte di ispirazione del manga (e non solo di questo visto che di manga sulla pallavolo se ne contano una trentina). La grande vittoria alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 (prima medaglia d’oro nel volley femminile e prima medaglia d’oro in un evento sportivo femminile in assoluto da 28 anni) e il bronzo a Los Angeles nello stesso anno di uscita del fumetto sono stati i grandi motori per le idee di Koizumi.

Anche il contesto in cui si svolgono le vicende del manga è reale e si basa su fatti realmente accaduti che cercherò di riassumere brevemente visto che sono piuttosto interessanti.

Il reclutamento delle giovani atlete avveniva in Giappone durante il percorso scolastico. Fu così che una liceale, Kasai Masae, fu vista giocare durante una partita a scuola. All’epoca, lo sport in Giappone veniva quasi esclusivamente praticato a livello aziendale. Fu infatti la Nichibō Corporation, un’industria tessile, a notare Masae. Reclutata immediatamente dopo la fine del liceo, iniziò ad allenarsi per la squadra aziendale, una delle più forti del Giappone.

L’allenatore della squadra era Hirofume Daimatsu, classe 1921 e anche lui impiegato nell’industria tessile, che portò quella stessa squadra a diventare la Nazionale giapponese femminile. I membri della Nazionale furono infatti reclutati per il 90% alla Nichibō Kaizuka e lui stesso ne diventò l’allenatore.

La storia di Daimatsu è segnata profondamente dalla sua partecipazione, durante la Seconda Guerra Mondiale, alla battaglia di Imphal. La durezza del confronto, conclusosi con la disfatta del Giappone, condizionò gli atteggiamenti futuri di Daimatsu.

Egli divenne famoso per i suoi metodi estremi di allenamento (noti come satsujin taiso, “addestramento omicida”) tale da meritare il soprannome di Oni no Daimatsu, una sorta di “coach demonio” o “orco” (sarà un caso che uno degli allenatori dell’anime si chiama Daimon Matsugorō???). Sono propri i metodi e le tecniche di gioco da lui ideate che hanno permeato di drammaticità e sofferenza i manga e gli anime dedicati alla pallavolo: Mimì e Mila portano ancora i segni di quegli allenamenti!

Gli allenamenti si svolgevano (dopo aver lavorato in fabbrica dalle 8 alle 16) dalle 16,30 a mezzanotte (con 15 minuti di pausa, che volete di più?), 6 giorni a settimana, 51 settimane all’anno. Daimatsu era perfettamente cosciente della crudeltà dei suoi allenamenti. Riteneva però che fossero necessari per sviluppare non solo la forma fisica ma anche per sviluppare lo spirito combattivo fondamentale se l’obiettivo era quello di prevalere su avversarie più alte e fisicamente più forti. Nonostante l’opinione pubblica spesso avversa, le sue giocatrici lo hanno sempre capito e difeso da ogni critica.

Daimatsu ha concepito le sue tecniche dopo aver analizzato la sconfitta della squadra femminile per mano delle sovietiche nel 1960 in Brasile. Anche i nomi fantasiosi dei colpi visti nei manga e negli anime hanno la loro precisa origine. La varietà di tecniche di Daimatsu includevano mosse come: “muovi e attacca” (idō kōgeki), “servizio delle foglie che cadono” (konohaochi sābu) e ‘attacco ritardato’ (jikansa kōgeki). La sua mossa più famigerata resta quella conosciuta come “ricevi e ruota” (kaiten reshību) che divenne una vera e propria firma della Nichibo Kaizuka.

Osservando la differenza di statura fisica tra le atlete giapponesi e quelle sovietiche, Daimatsu credeva che l’agilità e la velocità fossero la chiave per sconfiggere i campioni sovietici e così ideò tale mossa, una manovra acrobatica di caduta e rotazione, ispirata al judo; un’antesignana della rullata nella pallavolo odierna. Fu una tecnica difficile da padroneggiare: si dice che alcune giocatrici danneggiarono la colonna vertebrale e i reni colpendo il pavimento durante l’allenamento. Dopo le Olimpiadi di Tokyo, la tecnica è diventata un’abilità a cui ambire tra le giovani giocatrici delle scuole superiori al punto che alcune scuole giapponesi ne proibirono l’uso a causa dei possibili incidenti.

Fu grazie a questo impegno e alla disciplina delle sue atlete che Daimatsu vinse finalmente il Campionato Mondiale a Mosca nel 1962. Dopo aver vinto a Mosca le ragazze della Nazionale giapponese furono note al mondo come Toyo no mayo, le “Streghe d’Oriente”.

Certe di tornare ad una più rilassata vita quotidiana, dovettero invece tornare ad allenarsi duramente e, da quel momento in poi, anche più di prima: dalle 15 fino alle 2 o 3 del mattino (in effetti prima si allenavano poco…!). Kasai, ventinovenne, rimandò anche il suo progetto di sposarsi.

Questo fu dovuto al fatto che nel 1964 la pallavolo entrò a far parte delle discipline olimpiche. Appena saputa la notizia, tutto il popolo giapponese incitò la squadra e l’allenatore a partecipare. Non si tirarono indietro e fu così che entrarono nella storia con le Olimpiadi di Tokyo, battendo in finale 3 – 0 (dopo una rimonta pressoché fuori dall’umana comprensione sull’ultimo set!) proprio la Russia sotto lo sguardo della Principessa ereditaria Michiko e quello di tutto il Paese (quella partita fu il secondo programma più visto nella storia della TV Giapponese!).

Queste Olimpiadi non solo furono le prime svolte in Asia ma ebbero una valenza sociale importantissima in quanto il Giappone era ancora nella fase di ricostruzione post-bellica e vedeva i giochi olimpici come un simbolo di ripresa.

Nel video che segue sono immortalati gli ultimi punti della partita. A dir poco commovente. Persino la principessa Michiko perse per un attimo la sua compostezza ma non Daimatsu che dopo il punto finale rimase impassibile, ricordandoci il suo pesante passato nell’esercito.

https://youtu.be/coM7vkwh3js?si=q-H0Owpmqtwb6z7u

La storia del capitano Kasai, se vi piace saperlo, ha avuto un lieto fine. Quando la squadra ha incontrato il primo ministro Eisaku Sato sulla scia della loro vittoria, non ha mancato l’occasione per lamentarsi del fatto che gli anni di formazione spartana (forse a Sparta ci andavano più leggeri però!) non le avessero lasciato tempo per trovare un marito. Sato, in seguito Premio Nobel per la Pace, non perse tempo a presentarla a un giovane ufficiale della neonata Forza di Autodifesa giapponese! Il suo matrimonio ebbe luogo nel maggio 1965 e fu un evento nazionale.

Per chi conosce il francese o il giapponese oppure sopporta i sottotitoli in inglese, il documentario del 2021, “Le Sorcières de l’Orient” di Julien Faraut, racconta tutta questa pazzesca storia.

…alcune considerazioni…

Dunque, alla fine di questo racconto (ma non avevo detto “brevemente”?), tutti i pezzi vanno al loro posto: apprendiamo che molte delle atlete che hanno composto la nostra Nazionale, si sono appassionate alla pallavolo proprio grazie agli anime, così come generazioni di ragazzi che in quegli anni li guardavano entusiasti.

Ancora una volta ci troviamo, come visto con Tiger Mask, di fronte allo sport che fa da catalizzatore per la rivalsa del popolo giapponese, in recupero dal difficile secondo dopoguerra. Non solo: i valori dello sport si estendono a tutti e sono quelli dello spirito di squadra, dell’amicizia ma anche della conquista di un obiettivo, della disciplina e dello spirito combattivo per raggiungere la meta e superare sé stessi.

Scusate ancora se sono prolisso ma come avrete capito questi articoli sono un pretesto. Il pretesto per far capire che in realtà la musica apre a tante considerazioni, focalizza mille opportunità di studio e riflessione. Cosa sarebbe la musica senza le relazioni interpersonali e le vicende della vita? Semplicemente non esisterebbe per come la conosciamo. Quindi vi prego di concedermi ogni volta queste divagazioni poiché senza di esse la musica di cui siamo appassionati varrebbe veramente molto poco!

…e il manga in Italia

Arriviamo infine a parlare dell’edizione italiana del manga che fu a cura di Star Comics e rispettò la suddivisione in 3 volumi. Venne pubblicata in 3 mesi da febbraio ad aprile del 2003. Praticamente a quattro lustri di distanza dall’edizione giapponese. Nel 2015 è stato ristampato con l’aggiunta della sovraccoperta. Attualmente non è più stampato e si trova solo usato.

L’anime

A differenza del manga, tra la messa in onda dell’anime in Giappone e quella in Italia non passarono ere geologiche. In Giappone i 58 episodi della serie videro luce nel biennio 1984-85 e in Italia a febbraio del 1986. Fu in questo momento che si consumò il dramma dei dialoghi alterati facendoci credere che Mila e Mimì fossero cugine (ma perché poi??? Perché facevano lo stesso sport ed erano giapponesi???). Oltre a questo oltraggio ai limiti del comprensibile furono tagliate una serie innumerevole di scene ritenute poco consone ad un pubblico infantile. Io però sono magnanimo e qualcuna ve la faccio vedere!

Ecco un tremendo “quasibacio”:

Queste sono delle sconvolgenti mutandine femminili:

Queste le provocantissime tette di Yū:

Qui dei conturbanti reggiseni:

E vi sono anche delle scene ultra-violente, tipo lo schiaffo di Yū al padre:

Oppure i metodi poco ortodossi dell’allenatore:

Con tanto di sangue che neanche “Dal tramonto all’alba” di Tarantino:

Ce ne sono tante altre ma dubito che riuscireste a reggerne l’impatto emotivo: potreste rimanere traviati per il resto della vostra esistenza. Del resto, da piccoli, mica avrete guardato Bem?

Abbiamo scherzato un po’ sulle censure ma il discorso è chiaramente molto più ampio e complesso. Ora, giusto per essere precisi e tornare seri, ritengo sia corretto ricordare come le scelte sulle censure siano state fatte da Fininvest in accordo ai propri consulenti, psicoterapeuti dell’età evolutiva.

Il prodotto che offriva Fininvest riguardava nella maggior parte dei casi la fascia 6-14 anni e non adulti appassionati di anime e manga. Le scelte venivano fatte per adattare in maniera comprensibile le serie anime al piccolo pubblico italiano. Si trattava di due culture completamente differenti e molte scene non starebbero state per nulla comprese.

Spesso si parla di censura con estrema superficialità senza tener conto di cosa piace all’adulto e cosa al bambino. Prendiamo me: appare ovvio che attualmente io preferisca anime non censurati visto che posso comprenderne le differenze culturali ma siamo altrettanto certi che da bambino avrei voluto assistere in un cartone animato ad un particolare e sconosciuto rito religioso o ad una celebrazione tipica orientale di cui non sapevo assolutamente nulla?

Negli adattamenti vanno considerate tante cose e non ultimo il contesto culturale dell’epoca come anche le strategie di marketing: è possibile che cambiare i nomi dei personaggi o farci credere che Mila sia cugina di Mimì non sia stato altro che uno stratagemma per convogliare l’attenzione del pubblico.

A tutti noi spetta poi il compito di formarsi una propria opinione su questo argomento non facile.

Ricordo in conclusione che, per chi volesse riprendere la visione dell’anime, negli anni ci furono diverse edizioni home-video, la prima del 1991 (incompleta trattandosi solo di una selezione di episodi), poi nel 2000, nel 2007 e nel 2014 ad opera rispettivamente di Fabbri Editori, Dynit e congiuntamente Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Quest’ultima edizione comprende anche un sequel.

Le sigle originali

Eccoci finalmente alla musica! Partiamo come al solito nell’elencare quelli che furono i brani originali, entrambi del 1984.

Seishun Prelude – Il brano di apertura degli episodi. Musica di Toshio Kamei, testo di Yoshiko Miura e interpretata da Harumi Kamo. Il pezzo è un pop-synth-rock (ma come mi piace inventarmi i generi musicali!) con un basso molto “synthoso” dalle ritmiche incalzanti, alcuni stacchi ritmici interessanti e un breve assolo di chitarra.

https://youtu.be/tWMd_OD7KUk?si=k3N_7Tv881AhL9KX

TWINKLE, TWINKLE – Sigla di chiusura. Interprete e autori sono gli stessi: musica di Kamei, testo di Miura e voce di Harumi Kamo. Il brano è più lento e riflessivo. Il ruolo del basso spicca molto e, seppur lineare, presenta degli spunti esecutivi e armonici abbastanza interessanti.

https://youtu.be/43k1D1VrDtE?si=YH46UMppnC90hN_y

La sigla italiana

Vorrei conoscere chi non l’ha mai canticchiata. Penso sia impossibile non averla sentita almeno una volta nella vita, anche involontariamente!

Prima di passare agli autori vorrei fare una premessa. Nel 1981 Silvio Berlusconi fonda la casa discografica Five Record. Essa nacque con il preciso intento di accedere al vasto mercato delle sigle di serie TV, telenovelas, cartoni animati e trasmissioni televisive varie. Fu così che, già nel 1981, fu pubblicato il 45 giri “Gatchaman la battaglia dei pianeti”, primo singolo di un anime per la Five Record. L’anno successivo fu la volta di Cristina D’Avena. Il suo debutto con “Bambino Pinocchio” la vide proiettata verso un successo epocale, storico, incessante fino ad oggi.

Tra le file della Five furono presenti anche altri artisti, esordienti e non, fino alla sua trasformazione nel 1991 in RTI Music. Ergo, una storia durata un decennio che è sicuramente stata importante e si è dapprima sovrapposta e poi ha ereditato il ruolo di sforna-sigle che avevano le etichette come RCA e Fonit Cetra.

Fin qui tutto bene. C’è però un dato concreto che non si può non analizzare. Sebbene la produzione Five Record sia stata di indiscussa ed elevatissima qualità, si è osservato a mio avviso un impoverimento del lato stilistico nel settore sigle. La scelta della Fininvest (che controllava la Five) di affidare ad una sola voce e a pressoché una sola autrice di testi (Alessandra Valeri Manera) tutto il panorama delle sigle per i cartoni animati, fu da un lato sicuramente comoda e vincente ma dall’altro imponeva una scelta qualitativa limitante.

Scomparvero le “gare” tra artisti di differente estrazione come Olimpio Petrossi ad esempio volle per l’RCA Italiana e questo portò ad un impoverimento stilistico visto che nessuno doveva più competere per ottenere il risultato migliore. Attenzione, non sto parlando di un impoverimento qualitativo, perché come ho già detto la qualità dei brani e degli artisti, come vedremo, sarà sempre di altissimo livello. Sarà invece una scelta di stile restrittiva poiché il riferimento vocale e testuale sarà da lì in avanti sempre più o meno lo stesso.

Questo veniva compensato in parte dall’aspetto compositivo, ancora affidato di volta in volta ad autori differenti (sebbene ci siano stati nomi più ricorrenti di altri). Il risultato finale fu il frutto di una strategia vincente perché portata avanti con estrema cura, amore e professionalità. D’altra parte è anche vero che se da un lato si stava perdendo qualcosa dal punto di vista stilistico, dall’altro si era meno dispersivi e più concentrati sull’obiettivo. Sono scelte indiscutibili e la storia ha dimostrato quanto fossero valide.

E fu così che progressivamente lasciammo, senza esserne ancora consapevoli, le sonorità di Rocking Horse, Cavalieri del Re, Vince Tempera e tanti artisti che rendevano multiforme e articolato il commento sonoro agli anime per abituarci e assuefarci come ad un bel tramonto ipnotico al timbro pulito e rassicurante di una nuova voce simbolo: quelli della Goldrake generation stavano crescendo e Cristina li accompagnava verso l’adolescenza col suo sorriso smagliante.

Gli autori e i musicisti

La sigla di Mila e Shiro è composta e arrangiata da Carmelo “Ninni” Carucci, un musicista italiano che da metà degli anni ’80 diverrà un altro riferimento alla Five Record. Lo vedremo infatti accreditato come autore in tantissime sigle.

A sottolineare ancora l’attenzione per la qualità artistica delle sigle si fa notare, per chi non lo sapesse, che Ninni Carucci non era certo l’ultimo arrivato ma, dapprima attivo musicalmente in vari gruppi (tra cui “I Gatti Rossi” che accompagnavano Gino Paoli), ha scritto per artisti del calibro di Mina, Ornella Vanoni, Mia Martina e Patty Pravo.

Dal 1985 l’attività con le sigle è decisamente intensa e ne produce moltissime rimaste nel cuore di tutti noi, prima fra tutte cronologicamente “Occhi di gatto”, anime derivato dall’omonimo manga di quel mito assoluto che è Tsukasa Hōjō.

Alessandra Valeri Manera, dal 1980 al 2001, fu responsabile della fascia dedicata ai ragazzi della Fininvest. Racconta come quello fu il lavoro “nascosto” che avrebbe sempre voluto fare. Nascosto perché non esisteva un ruolo del genere e fu una fortuna che ringrazierà sempre di aver avuto. All’epoca aveva solo 23 anni ma la neonata Fininvest stava puntando su responsabili di settore e dipendenti tutti molto giovani perché il concetto di fondo era quello di non dover essere influenzati da mentalità ormai passata “da TV di stato”.

Nel 1981 la Fininvest acquistò i diritti della serie nipponica “Bambino Pinocchio” e lei si gettò alla ricerca di una voce insieme al Maestro Giordano Bruno Martelli. L’idea fu di cercare quella voce presso il Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna poiché Mariele Ventre che già lo dirigeva insegnava ai bambini con amore ed in maniera semplice e naturale.

Alessandra cercava una voce femminile (e magari anche una maschile per il futuro) da fidelizzare. Voleva un punto di riferimento, qualcuno di solido a cui affidare un compito importante da portare avanti nel tempo. Il processo di fidelizzazione dell’artista andava di pari passo con quello della clientela, ovvero i bambini. Lo scopo era quello di creare un personaggio riconoscibile. Il bambino non doveva più, o almeno non solo, voler ascoltare la canzone di quel cartone animato ma avrebbe dovuto voler ascoltare la voce di Cristina.

La Canzone dei Puffi fu invece il brano con cui Alessandra Valeri Manera cominciò a scrivere anche i testi ed ebbe un bel successo discografico, complice anche la sigla molto orecchiabile, sebbene vagliata ogni volta per l’ok definitivo dalla produzione belga.

Valeri Manera fu anche l’ideatrice di Fivelandia, la più longeva raccolta di sigle TV dedicata ai bambini e legata al periodo natalizio per quanto riguarda la promozione. Ne furono pubblicati annualmente ben 22 volumi.

Bisogna ringraziare Alinvest (pseudonimo usato da Alessandra Valeri Manera) se le scelte su quali cartoni animati trasmettere si orientarono verso il mercato giapponese. Criticava infatti il buonismo delle serie statunitensi, pervase dalla quasi totale assenza di antagonisti veri e propri. In questo modo, dice lei, le trame risultavano povere e scarsamente coinvolgenti, cosa che non è mai avvenuta negli anime. E mi trova perfettamente d’accordo!

Riguardo alla collaborazione con il Maestro Carucci, Valeri Manera racconta come sia stato un Maestro esemplare e importante e di come abbia caratterizzato il mondo delle sigle dall’85 in poi, nel suo stile “ABBA”, come lo definiva lei. Carucci rappresenta uno di quei grandi autori che non si è mai sentito sminuito nel dover scrivere per bambini e anzi, probabilmente ha fatto di questo uno dei suoi punti di forza. Comprendeva chiaramente come altri che le canzoni per i bambini dovevano avere lo stesso rispetto di quelle “per i grandi”. Lezioni di vita, quelle di Carucci, prima che di musica.

In ogni caso occorre riconoscere ad Alessandra come i suoi testi, se abbiamo la bontà di ascoltarli con attenzione, non sono mai stati banali e, come dice lei stessa, hanno sempre cercato di essere il veicolo di un messaggio profondo. Profondo non vuol dire necessariamente complesso, anzi, è la semplicità di alcuni concetti ben trasmessi che porta a segno l’obiettivo.

Cristina D’Avena dunque. Penso che su di lei sia stato già detto tutto e che tutti sappiano più o meno tutto! Sappiamo che è in piena attività (l’ultima volta l’ho ascoltata a Romics a ottobre scorso) e che per ora, non dirò su di lei una parola di più! Stupiti? Vi pare che non avrò occasione? Di linee di basso da trascrivere ce ne sono a fiumi!

A parte Cristina, chi erano i musicisti che hanno suonato il pezzo?

In quel periodo, nel periodo 1985-1988, la formazione che accompagnava le sigle era più o meno la stessa:

Alle tastiere lo stesso Ninni Comolli.

Alla batteria Flaviano Cuffari: racconta lui stesso di aver iniziato ad interessarsi alla musica perché ospitò nella sua cantina, un gruppo di “capelloni” rimasti senza sala prove. Da lì prende contatti con quello che era considerato uno dei batteristi più forti del panorama italiano, Gilberto “Gil” Cuppini ma egli insegnava solo swing un genere musicale che non lo interessava. Lasciò le lezioni e si iscrisse alla Scuola Civica di Musica di Milano dove ebbe una prima formazione studiando percussioni classiche, vibrafono e strumenti complementari tra cui il pianoforte. Era innamorato del solfeggio e della teoria e cita il Pozzoli come sua assidua lettura dell’epoca! Ha studiato, per sua cultura personale, anche tanta armonia e contrappunto con il celebre Maestro Federico Mompellio, importante musicologo che gli dava lezioni la domenica mattina. Questo fece di lui un artista veramente completo e preparato.

La sua attività in studio iniziò quasi per caso, poiché alcuni amici con cui suonava gli proposero di andare in sala di incisione con Detto Mariano che in quel periodo lavorava con Celentano e cercava un nuovo batterista. Lui aveva solo 18 anni, non aveva mai visto uno studio di registrazione e non sapeva neanche se sarebbe stato in grado ma andò ugualmente. Capì di essere in grado quando lo richiamarono dopo la prima volta! Iniziò quindi a incidere basi lavorando su turni (3 ore la mattina e 3 ore il pomeriggio) come era in uso all’epoca. Del resto la turnistica era regolamentata all’epoca da un vero e proprio contratto nazionale che disciplinava la retribuzione oraria, la durata dei turni e le paghe straordinarie. Proprio come adesso…

Da quel momento la sua attività artistica e professionale decollò e la lista degli artisti con cui ha collaborato, dal vivo e in studio, non ha limiti divenendo uno dei batteresti più importanti in Italia in quegli anni: Alberto Camerini, Ricky Belloni, Marco Ferradini, Patty Pravo, Lucio Dalla, Renato Zero, Alice, Enzo Jannacci, Milva, Franco Battiato, Giuni Russo, Adriano Pappalardo, Ron, Claudio Baglioni, Loredana Bertè, Gloria Gaynor, Donna Summer, Mina, Adriano Celentano, Francesco Guccini, Alberto Radius, Gianni Morandi, Gianni Bella, Gianna Nannini, Pupo, Mia Martini, Licia e i Bee Hive, Bruno Lauzi, Mango, Rondò Veneziano, Dario Baldan Bembo, Gigi D’Alessio e molti altri.

Ha inoltre lavorato in molte trasmissioni televisive, nel 1977 è nella Big Band della RAI di Milano e a Mediaset collabora con Augusto Martelli fin dai primi anni ’80, ha lavorato come compositore e arrangiatore e ha pubblicato il trattato in 2 volumi per batteria e basso “25 Grooves 25”, edito da Carisch.

Alla chitarra Giorgio Cocilovo: iniziò a suonare l’armonica a sei anni e pochi anni dopo ricevette la sua prima chitarra. Notato da Tullio De Piscopo, ha collaborato con lui per circa quattro anni durante i quali ha suonato jazz e fusion.

Iniziò in seguito a lavorare presso gli studi di registrazione e decise di intraprendere gli studi musicali con il Maestro Filippo Daccò. Completò la sua formazione dopo aver già passato diverso tempo come professionista iscrivendosi come privatista al conservatorio e ottenendo il diploma di chitarra classica.

Le collaborazioni, nel corso degli anni, non si contano: Stefano Cerri, Tullio De Piscopo, Angelo Branduardi, Eros Ramazzotti, Mia Martini, Renato Zero, Fiorella Mannoia, Enzo Jannacci, Malika Ayane, Enzo Avitabile, Luca Barbarossa, Marcella Bella, Loredana Bertè, Massimo Bubola, Sergio Caputo, Ivan Cattaneo, Adriano Celentano, Toto Cutugno, Gigi D’Alessio, Cristiano De Andrè, Peppino Di Capri, Johnny Dorelli, Drupi, Marco Ferradini, Eugenio Finardi, Irene Grandi, Ivan Graziani, Jovanotti, Bruno Lauzi, Fausto Leali, Augusto Martelli, Matia Bazar, Mietta, Mina, Gianni Morandi, Anna Oxa, Mauro Pagani, Gino Paoli, Omar Pedrini, Ricchi e Poveri, Enrico Ruggeri, James Senese, Alan Sorrenti, Ivana Spagna, Amii Stewart, Gianni Togni, Ornella Vanoni, Roberto Vecchioni e molti altri.

I cori sono de “I Piccoli Cantori di Milano” di Nini Comolli e Laura Marcora ma parleremo di questi protagonisti assoluti di tante sigle in un’altra occasione.

Il bassista

Paolo Donnarumma è stato un artista veramente importante e ha segnato, come i suoi colleghi sopra citati, alcuni momenti fondamentali della musica Italiana.

Cominciate a rendervi conto di quanta inconsapevole qualità si stava mettendo nelle “canzoni per bambini”? Inconsapevole ovviamente fino ad un certo punto: molti artisti erano già di alto livello e avevano un’importante carriera alle spalle ma tanti musicisti turnisti erano molto giovani e mai avrebbero creduto che quello che allora era solo lavoro sarebbe diventato oggetto di un culto quasi maniacale.

Paolo Donnarumma ha suonato le linee di basso di una enorme quantità di brani. Ha collaborato con tantissimi artisti e qui ne riporto qualcuno tra i più importanti in un elenco non esaustivo: Alberto Camerini, Ivan Cattaneo, Bruno Lauzi, Drupi, Fiordaliso, Gianna Nannini, Riccardo Cocciante, Fabrizio De André, Edoardo Bennato, Patty Pravo, Luca Barbarossa, Fabio Concato, Marco Ferradini, Ron, Mina e l’elenco potrebbe continuare molto. A tutti sarà capitato di sentire più volte brani con sue linee di basso, su questo non c’è dubbio. Oltre al pop però molti saranno sorpresi nell’apprendere che le sue linee accompagnarono tanti brani scritti per Cristina D’Avena.

Donnarumma stesso ha dichiarato che la sua tecnica col plettro deriva dalla precedente esperienza come chitarrista. Già comodo nell’usare il plettro, ha semplicemente continuato ad usarlo anche con il basso. Il suono “Precision + plettro”, divenuto un suo standard, lo ritroviamo in brani come quello che stiamo per analizzare ma anche su altri che probabilmente analizzeremo in futuro. Ad oggi, Paolo Donnarumma suona ancora in alcune formazioni e si dedica all’insegnamento.

Analisi del brano e della linea di basso

“Mila e Shiro, due cuori nella pallavolo” è un brano di 77 misure piuttosto semplice (almeno in teoria!), scritto principalmente in F maggiore che ha le sue difficoltà nell’interpretazione, soprattutto per quanto riguarda la durate delle pause e delle note. Il rispetto di questi valori è la chiave a mio avviso per eseguirlo bene. Scegliete voi se essere maniaci del suono ed eseguirlo ricercando il timbro del Fender Precision col plettro come in originale oppure se utilizzare le dita (in realtà il suo basso storico era un Fender Precision Special del 1972, con un pick-up single-coil aggiunto in modo da ottenere la configurazione PJ).

Il Precision modificato di Donnarumma

Il metronomo del brano è fissato intorno ai 102 bpm. Per quanto riguarda alcuni dettagli dell’arrangiamento generale, il brano è ricco di tastiere, in parte portate in levare per tutto la durata. E’ presente una chitarra che suona delle frasi di accompagnamento caratteristiche e leggermente in secondo piano nel mix ma comunque sempre evidenti (con un sapore un po’ country a mio avviso).

Nell’intro il basso rimane scoperto da un arrangiamento ancora povero: qui siamo noi i protagonisti e dobbiamo portare il brano in maniera convincente! La frase principale che caratterizza il brano viene ripetuta ben 7 volte prima che inizi la parte cantata. Io, nel video allegato, la eseguo un po’ meno legata rispetto all’originale ma nulla vi vieta di riprodurre esattamente l’originale. Attenzione a prolungare di 2/4 l’ultima misura dell’intro. Ci sono due o tre diteggiature valide per eseguire questa frase, trovate voi quella più comoda.

Una considerazione solo sul Do alto presente al termine delle battute dispari. Dovendo essere eseguito per comodità sul V tasto della I corda, si può approcciare suonando il Re precedente sia sfruttando la II corda a vuoto, sia suonandolo sulla III corda al V tasto. A voi la scelta. Io preferisco suonarlo al V tasto poiché successivamente il brano modulerà e lo stesso pattern dovrà essere eseguito senza poter sfruttare corde a vuoto: ergo, meglio abituarsi (e anche per una questione di somiglianza timbrica).

La sezione A non presenta grossi ostacoli. Alla battuta 13 Donnarumma esegue staccate le note che ho segnato ma è un fatto puramente interpretativo che si può variare a piacimento. Quello che a mio avviso va rispettato il più possibile è invece il valore delle pause. Riempirle col suono snaturerebbe un po’ il senso dell’andamento generale.

Il collegamento alla sezione B, alla battuta 22, avviene con note legate. La B è piuttosto ripetitiva ma anche qui attenzione alla distribuzione delle pause e occhio alla misura 30 che è di 2/4.

La C riprende la frase dell’intro.

Il brano si ripete praticamente identico riprendendo la A, la B e di nuovo la C che però stavolta modula in A bemolle maggiore per un paio di misure. Si ripete dunque una B che nella seconda metà modula in G bemolle maggiore concludendo di netto il brano.

Ricapitoliamo la struttura che può essere così schematizzata:

Intro-A-B-C-A-B-C1-B1

Abbiamo quindi analizzato una linea di basso che fa dell’essenzialità il suo maggior pregio. La distribuzione delle pause, la durata delle note, la cantabilità della linea dimostrano un presenza essenziale ma mai invadente. Poche note ben concepite, una lucida rappresentazione del ruolo fondamentale del basso. Una linea che respira sempre, cede spazio senza mai rubarne troppo e dove anche le pause cantano!

Nota bene: se proverete a suonare la linea di basso tenendo come base il brano originale, noterete probabilmente una lievissima differenza di intonazione. Forse è stata variata leggermente la velocità del brano in fase di post-produzione e pertanto dovrete cambiare l’accordatura dello strumento o il pitch della traccia audio originale in modo da essere perfettamente intonati.

Per oggi è tutto. Spero di avervi coinvolto e che abbiate seguito l’articolo con interesse.

Alla prossima Community!

Di Giampaolo "il doc" Ciccotosto

Sono nato anni fa, mentre Actarus arrivava in Italia a bordo di Goldrake. Cresciuto a pane, insalate di matematica e vitelli dai piedi di balsa, ho cominciato a respirare musica a fine anni '80 suonando per tanto tempo 88 tasti: erano troppi e ho provato con 6 corde. Inutili anche quelle...ne bastavano 4! Negli anni '90 arrivarono poi in Italia quegli strani fumetti pieni di ramen, katane e buffi sandali di legno: capii finalmente da dove arrivavano tutti i cartoni animati! Dal fragoroso incontro tra musica e anime uscì fuori quell'amore per le sigle che dura fino ad oggi! Ah, dimenticavo: nel tempo che mi rimane sgombro dall'essere un discutibile musicista, faccio anche il medico e mi occupo della mia numerosa famiglia!